Il marchio

«Colere Anima», associazione culturale no profit, esprime già nel nome il suo nobile intento: l’attenzione alle qualità più raffinate dell’essere umano, la cura delle sue energie creative come fattore potenziale di crescita, miglioramento e approdo alla felicità.
Una volontà che sceglie come suo tramite l’arte e la ricerca della bellezza, intesa come luce della comprensione nell’oscurità del caos e dell’ignoranza. L’arte non conosce confini, né limiti di linguaggio: per questo l’associazione si rivolge ad ogni forma di espressione, ispirandosi all’ideale umanistico per cui l’esperienza artistica non si esaurisce nella realizzazione, o fruizione, di un’opera, ma persegue il proprio fine ultimo nel far vibrare e innalzare l’anima dell’uomo oltre i limiti della mondanità e la fragilità delle apparenze.
A render chiaro il pensiero che dà forma ai propri disegni, «Colere Anima» assume come proprio marchio identificativo la civetta, protagonista di una complessa quanto antica simbologia trasversale a luoghi, epoche e culture anche molto distanti tra loro. Dalle incisioni rupestri del paleolitico superiore al culto mesopotamico della dea Isthar, dai rituali precolombiani d’oltreoceano al Ramayana induista fino alle credenze del Medioevo europeo, la civetta (e più in generale i rapaci notturni, come anche il gufo) in virtù della capacità di volare vedendo attraverso le tenebre è incarnazione, potente e ambigua, di saggezza, furbizia, chiaroveggenza o stregoneria. Il suo calarsi nell’ombra per poi librarsi nel cielo la fa essere ora veicolo di conoscenza psichica profonda ora guida delle anime nell’aldilà; restando sempre, fin dalla notte dei tempi, simbolo dell’essere in relazione con la trascendenza e l’esplorazione dell’ignoto.

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Le civette nelle incisioni rupestri della grotta Les Trois Fréres presiedono alla raffigurazione di riti magici.
Nelle tradizioni dei pellerossa americani il rapace notturno è animale totemico di grande importanza associato alla saggezza, alla veggenza ed è guida per le anime dei defunti nel regno dei morti.
La civetta caratterizza l'iconografia della babilonese dea Ishtar, potenza creativa e distruttiva insieme.
Nel Ramayana, testo sacro induista scritto sottoforma di poema epico, si narra della disputa tra l'avvoltoio simbolo del giorno e la civetta simbolo della notte, vinta da quest'ultima grazie alla sua furbizia.
Ma ciò che lega la strigide al potere della conoscenza sottoforma d’arte è senza dubbio racchiuso nel suo nome scientifico: Athene Noctua. Questo nome proviene dall’antica Grecia dove la civetta era l’animale sacro ad Atena, dea della sapienza e protettrice delle arti. Nata direttamente dalla mente di Zeus, cioè dal pensiero divino, Atena ha gli occhi lucenti di civetta da quando Omero crea l’epiteto γλαυκῶπις «la glaucopide», fondendo il termine ὤψ (óps) «occhio» con γλαυκός (glaukòs) «lucente» che ha la stessa radice di γλὰυξ (glàux) «civetta». E non solo. La «nottola di Minerva, che inizia il suo volo sul far del crepuscolo» (così scrive Hegel nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto) dai grandi occhi e il becco adunco racchiusi nella forma ellittica della testa, evoca agli antichi la grafia della lettera φ (phi) con cui inizia la parola greca ‘filosofia’, quell’amor di conoscenza che sonda le tenebre delle pulsioni umane per trarne un pensiero organico e attivo; prima lettera anche del nome Fidia, il ‘leggendario’ artista ateniese (architetto, scultore e pittore) interprete degli ideali della luminosa stagione di Pericle e noto per aver diretto il cantiere del Partenone secondo le regole della misura aurea.
Il pensiero culturale greco antico, culla della nostra civiltà, è fondato sul καλὸς και αγαθός (kalòs kai agathòs) il principio secondo il quale non esiste opera veramente bella che non sia anche profondamente buona: l’esteticamente bello e il moralmente virtuoso sono elementi complementari indivisibili, che affinano la condizione dell’uomo guidandolo sulla via della saggezza oltre le lusinghe della vanità. Tale principio passa poi, variamente interpretato ma senza soluzione di continuità, dall’ellenismo al neoplatonismo, viene assunto dal cristianesimo della Scolastica medievale (basti pensare al viaggio di Dante nella Divina Commedia) per essere riscoperto nella sua forma originaria nell’Umanesimo, con la visione dell’uomo misura di tutte le cose in quanto immagine divina. Ecco dunque che la civetta di «Colere Anima» accosta le sue ali piumate al corpo per custodire nel petto il cuore alato, simbolo alchemico dell’elevazione dell’anima verso la purezza e la libertà di pensiero a cui la pratica delle arti, se guidata dal principo del «bello e buono», conduce. Del resto l’Arte Regia, l’Alchimia, non è affatto un’ingenua forma di chimica primordiale con cui certi “bruciacarboni” hanno preteso di arricchirsi, ma è il percorso allegorico che l’iniziato intraprende per trasformare la propria anima in argento (simbolo della luna) e in oro (simbolo del sole) e farla volare verso il cielo. La scelta cromatica del marchio «Colere Anima» si posa dunque sul grigio e sul giallo per evocare appunto i nobili metalli che risplendono senza corruzione. Infine, la civetta si lascia avvolgere da colei che gli antichi Egizi chiamavano il «sole che splende di notte»: la luna, musa ispiratrice di poeti e musici senza tempo.
cuore-alato
MezzaLuna
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